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BARI: BOMBARDAMENTO MEDIATICO CONTRO “L'ALTRA STORIA” . A SCUOLA. LA VERITÀ FA PAURA, CHI LA DICE DEVE TACERE.

di Pino Aprile


È stato fatto saltare il secondo appuntamento con la coautrice di “L'altra storia”, in una scuola di Bari. Che i ragazzi non sappiano! Da un secolo e mezzo l'unificazione d'Italia è raccontata come una fiaba: in pochi mesi, mille uomini con la potenza di fuoco di cento fucili abbattono centomila soldati e uno Stato di quasi 9 milioni e mezzo di abitanti, fra un riposino e l'altro (se sommiamo le lapidi di “Qui dormì Garibaldi” e consideriamo anche solo mezz'ora a pennichella, il massone che fece il pirata per gli inglesi in Sud America, risulterebbe in sonno più dei sette dormienti di Efeso).

La sguaiatezza con cui è stato condotto l'attacco mediatico a una iniziativa per una narrazione meno reticente sul Risorgimento, alla Michelangelo di Bari, rende legittimi i sospetti sugli interessi che traggono sostegno dalla versione delle vicende unitarie “antica e accettata” (allusione al ruolo della massoneria di ieri e oggi nella nascita e guida occulta e no del Paese). L'Italia è nata nel modo peggiore possibile: disegni internazionali coincidenti, ideali unitari di pochi grandi uomini, interessi di una masnada di affaristi e ladroni, alleati con usurpatori di terre demaniali al Sud; e massacri, massacri, massacri. Altri Paesi non sono nati meglio, negli stessi anni. La storia è piena di sangue, schifezze, sogni fatti a pezzi e porcherie vendute per sogni, ma quella è, e non possiamo sceglierne o raccontarne un'altra.

La Regione Puglia ha approvato il Giorno della Memoria per le vittime meridionali dell'Unità. I custodi della versione cara ai massacratori (la verità svelerebbe colpe scaricate sulle vittime, con la complicità di “scrittori prezzolati di regime”, li definiva Gramsci) si ribellano all'idea che si possa parlare di quello che loro hanno taciuto.

Alessandro Laterza ha scoperto “con orrore” che nella scuola dove aveva pre-iscritto la figlia, la Michelangelo, per ben due giorni, totale circa quattro ore, si sarebbe detto qualcosa di diverso da quanto si spaccia ogni anno, per tutto l'anno, da un secolo e mezzo, dalle elementari alle università. E lo ha coraggiosamente denunciato, pur con il timore, pubblicamente espresso, di conseguenze a danno della figlia, ove la piccola dovesse frequentare quella scuola: ognuno misura il mondo con il suo metro? Speriamo si tratti di involontaria caduta di stile (per tacere dei “rigurgiti”... Mi viene in mente, pur se non c'entra nulla con i nostri livelli di signorilità dottore, la signora della città vecchia che, una quarantina di anni fa, io cronista a Bari, vidi invitata a tornarsene a casa da un vigile urbano sotto al Comune. “Meh, sciatavinn alle caser, ca jè tarde”. E osò, l'incauto, sfiorare con un dito il braccio dei due quintali di milady, che reagì, indignata: “Uèh, liv'm l' mane da 'nguedd. Sono sembr'una signora. Eccheccazzo!”).

Laterza ha definito neoborbonica e dell'associazione Briganti la coautrice del libro che veniva presentato, Monica Lippolis. Che ha scritto al giornale precisando che non c'è nulla di male a far parte di quelle associazioni, sta di fatto che lei non ne fa parte. Correttamente, il giornale le ha censurato i passaggi che potevano risultar sgraditi a Laterza (per farlo nell'articolo di Laterza contro la Lippolis forse è mancato il tempo); e le ha contrapposto un ennesimo testo, per ribadire quel che veniva smentito, persino elevandola a presidentessa di Briganti; e spiegando che è distogliendo le creature dalle favole risorgimentali che diventano violente da grandi (e speriamo che nessuno sveli loro come nascono i bambini); come conferma il frasario da rapporto di questura (“delinquenti”, “criminali”. E che è!? Datevi una calmata). Ci si rivolge alla dirigente scolastica presa di mira, come fosse un uomo e con indicazioni così sottili (una trave, più o meno) sul “ruolo”, il “ruolo”... capisc'ammè. La dirigente ha rinviato il secondo incontro a data da destinarsi; per arricchirlo con interventi di esperti accademici. Esattamente quello che si chiedeva con il Giorno della Memoria e contro il quale alcuni accademici hanno scatenato una rissa mediatica degna di migliori cause (tutte da loro ignorate, incluso l'attacco degli ultimi governi all'esistenza delle università meridionali).

Se invece ci saranno solo gli accademici, sarà quello che chiedeva Laterza: lasciare la storia agli storici. E l'economia agli economisti, il calcio ai calciatori, la matematica ai matematici, la politica ai politici? Imprenditori di grande cervello, poca scuola e buona esperienza spesso mostrano agli economisti cose che non avevano visto o compreso. I giornalisti sportivi non tirano rigori, ma spiegano e criticano i rigori di tutti, con e senza moviola; la storia della matematica ci racconta di grandi intuizioni e studi che dobbiamo a persone che facevano altro (a volte, commercianti, perché i numeri, per loro, son soldi); e l'ultima cosa che ci verrebbe in mente di fare sarebbe di lasciare la politica ai politici: per fortuna l'hanno fatta braccianti agricoli improvvisandosi tali e crescendo tanto (Peppino Di Vittorio), operai nelle fabbriche e “sebben che siamo donne”, cittadini del mio rione a Taranto, i Tamburi, o della Terra dei Fuochi.

Perché solo la storia agli storici? Perché non dovremmo “invadere il campo”, quasi ci fosse una casta che pretenda: “è cosa nostra”? Gratitudine immensa per gli storici che ci hanno illuminato e ci illuminano; ma critica senza sconti per chi non ci vuole informare, ma “forgiare” (e talvolta persino ingannare), usando la storia come arma politica e di potere su di noi, al servizio di una visione di modello di cittadinanza (sudditanza), società ed educazione alla minorità, ponendosi sempre e solo dalla parte del potere e di un certo potere.
Non lo dico io, ma il professor Umberto Levra, già docente a Torino di Storia del Risorgimento, presidente dell'associazione degli storici del Risorgimento, presidente del Museo del Risorgimento: archivi, biblioteche e fonti sono state in mano ai “sabaudisti” (veri e propri “padroni” della verità, perché la storia fosse continuamente adattata agli interessi dei Savoia), dal 1830 al 1920 e la via che tracciarono è valida ancor oggi, per alcuni: si rileggano certe dichiarazioni di Alessandro Barbero, autore di Laterza. I sabaudisti avevano il compito di nascondere i documenti scomodi, distruggere quelli ancora più scomodi e orientare la narrazione storica a fini di potere sabaudo. Cosa che hanno fatto così bene, che il professor Levra (ma anche il colonnello Cesare Cesari, a capo degli archivi militari, un secolo fa) dice che ormai sarà impossibile ricostruire come andarono davvero le cose.

E dovremmo fidarci acriticamente di Benedetto Croce (Laterza il suo editore) che per giustificare le condizioni sempre peggiori del Sud, dopo l'Unità, inventò l'arretratezza che non c'era “prima”? Non lo dico io, ma John Anthony Davis, dell'università del Connecticut, e nessuno degli storici italiani lo ha riportato. E sempre gli storici stranieri ci hanno informato dei massacri.
O dovremmo accettare per vera la “grande bella Soria degli italiani” di Niccolò Rodolico, che riesce a non fare nemmeno un accenno a dieci anni di guerra, paesi rasi al suolo, e tutto il resto che va sotto il nome di Brigantaggio? Non lo dico io, ma Giorgio Ruffolo (“Un Paese troppo lungo”).

O prendere per oro colato la monumentale Storia del Regno di Napoli di Giuseppe Galasso, in cui non viene nominata la camorra, grazie alla quale, Liborio Romano consegnò la città e il Regno a Garibaldi? Non lo dico io, ma il professor Isaia Sales (“Storia dell'Italia mafiosa”). Un oggi anziano docente che studiò con Galasso, rimproverato per la citazione di un libro “non allineato”, in un suo lavoro, replicò: «Sono nell'università da quasi quarant'anni, prima studente e poi docente. Senza quel libro non avrei saputo di Pontelandolfo e Casalduni».
O dobbiamo continuare a tramandare la storiella del Regno delle Due Sicilie senza industrie, ignorando un elenco di circa 5.500 aziende, incluse le più grandi dell'Italia preunitaria, in siderurgia (Mongiana, Calabria), meccanica (Pietrasa, Napoli), cantieristica navale (Napoli, Castellammare di Stabia) e il numero di addetti all'industria maggiore di quello di tutto il resto d'Italia di allora messo insieme e di quello di oggi (con il doppio della popolazione) al Sud? Non lo dico io, ma l'Ufficio studi della Banca d'Italia, con i professori Stefano Fenoaltea e Carlo Ciccarelli, il professor Luigi de Matteo (l'Orientale di Napoli) e prima ancora, Gennaro De Crescenzo, presidente dell'associazione Neoborbonici. Ahi! Ecco, sapevo... allora non è più vero.

Se qualcuno vuole insegnarmi l'aritmetica fermandosi a sottrazioni, addizioni e divisioni, prima o poi, imparerò le moltiplicazioni da solo e non riconoscerò come maestro chi vorrà esserlo solo fin dove dice lui.
Ma davvero si pensa ci siano orde di truci sanfedisti che vogliono sterminare oggi le bande di traditori giacobini venduti ai francesi, per riportare sul trono i Borbone? E se, più semplicemente, inclusi neoborbonici e ascari, massoni e no, al Sud volessimo soltanto i treni che non abbiamo, le autostrade che mancano, il diritto alla salute, alla mobilità, allo studio, eccetera, pari a quello degli altri italiani? E un po' più di verità su ieri?

Se, per un giorno, si racconta qualcosa di più onesto o anche solo diverso agli studenti, è “indottrinarli”? E se per tutto il resto del tempo e da un secolo e mezzo, nelle scuole di ogni ordine e grado, si impone una versione “aggiustata”, chi indottrina chi?
Se vogliamo ricordare, non chiediamo permessi; con e senza mozione; con e senza l'istituzione, che deve decidere se essere luogo per tutti o arma per qualcuno contro altri. Si tratta solo di parlarne insieme e far sapere che la storia è più complessa. Ma a questo vi siete opposti: chi vuole il silenzio ha qualcosa da nascondere.